10 ottobre 2007

Torni dall'Africa e...


Ho deciso dopo settimane dal mio rientro dall’Africa, di scrivere qualcosa di questa esperienza, ho urgenza di farlo, come se avessi paura che l’emozioni che provo e che sento in questo momento mi scivolassero via, ma da dove cominciare? Sono tante le cose viste, le persone incontrate e il luoghi impressi nella mia mente e nel mio cuore, ma ce n’è uno in particolare, uno che faticherò a dimenticare, uno sopra tutti Korogocho.
Attenzione, ho amato tutti i posti visti in Kenya, ho un particolare affetto per tutte le persone e i bambini incontrati a Bomet e per i bambini incontrati nelle scuole di Nairobi, ma quello che ho vissuto a Korogocho è qualcosa che prima della mia partenza non avrei immaginato di vivere.
Innanzitutto, mi piacerebbe spiegare dove siamo stati, perché quando si sente parlare di Kenya, spesso, e me ne sono accorta tornando, si pensa ai Safari, ai leoni, alle tigri, alle zebre e alle giraffe, beh è vero la natura è travolgente, ma il Kenya non è solo questo.
Innanzitutto occorre dire che gran parte della nostra missione l’abbiamo passata a Nairobi, una delle più grandi città dell’Africa e soprattutto la capitale del Kenya.
A Nairobi ci sono 4 milioni di abitanti, 2,5 milioni dei quali vivono in baraccopoli, che occupano meno del 5% del territorio urbano, terreno che è di proprietà del comune e dello Stato. Circa l'80% di loro paga l'affitto ai proprietari delle baracche, speculatori che lucrano sulla pelle dei poveri.
Secondo i dati di UN HABITAT , l'Agenzia delle Nazioni Unite che studia gli insediamenti urbani e rurali, a Nairobi esistono 199 baraccopoli, alcune immense come Kibera con oltre 800 mila abitanti e altre più piccole con qualche centinaio di persone, ma purtroppo in espansione.
Com’è facile immaginare, l’emarginazione, la povertà, la fame, il freddo, il degrado e l’ignoranza portano queste persone a vivere ai limiti dell’umana sopportazione, portano a vivere ogni tipo di rapporto con violenza, la vita umana perde d’importanza proprio perché la morte purtroppo è all’ordine del giorno.
Korogocho si estende su un'area di 1,5 kmq e dove ad oggi vivono 100-120 mila persone stipate in baracche di fango e lamiera.
Le baracche sono attaccate le une alle altre, divise soltanto da viottoli angusti che sono , allo stesso tempo, fogna e scolo. Le strade sono impraticabili durante le piogge o estremamente polverose negli altri periodi dell'anno. L'immondizia viene accumulata a lato delle strade, dove spesso viene direttamente bruciata.
Korogocho sorge proprio nei pressi della discarica di Dandora, perché i ricchi i rifiuti non li bruciano, i ricchi li raccolgono da più di trent’anni nello stesso punto, nella stessa discarica, per darvi un senso delle dimensioni, prendete la montagnetta di San Siro e immaginatela coperta di pattumiera. La discarica, costituisce una risorsa preziosa per i numerosi scavengers (cercatori) che sopravvivono, grazie alla loro attività di recupero e riciclaggio dei rifiuti, ma è anche oggetto di grandi interessi economici, delle poche persone che sfruttano la debolezza di questi disperati
Molti giovani e bambini, orfani e poveri, affollano lo slum senza alcuna speranza per il futuro. Sono facili preda di droga, prostituzione e alcolismo. Moltissimi bambini di strada, per sfuggire ai morsi della fame si “ stordiscono ” sniffando colla.
Entrare a Korogocho non è così facile, bisogna conoscere, qualcuno, bisogna avere gli agganci giusti, perché ogni giorno, può essere un giorno buono o un giorno pessimo, i furti sono all’ordine del giorno e la criminalità regna sovrana, ricordo che la sera prima eravamo tutti molto emozionati, eravamo agitati, sapevamo che sarebbe stata dura, ma eravamo felici di poter affrontare anche questa esperienza insieme.
Ci avevano preparato, ci avevano avvisato ed eravamo pronti a tutto, sapevamo che forse non saremo neanche potuti scendere dal “Matatu” , sapevamo che dovevamo ascoltare quello che succedeva intorno a noi, sapevamo che dovevamo ascoltarci, sapevamo che l’accoglienza poteva essere buona, oppure pessima, sapevamo che dovevamo entrare in punta di piedi e con l’atteggiamento del “io sono qui, se mi vuoi rimango, ma se non mi vuoi, me ne vado”.
Ho ancora negli occhi l’ingresso del Matatu a Korogocho, l’ingresso è graduale, le case piano piano diventano, scatole di latta, le strade si restringono, l’asfalto lascia il posto alla polvere, alle buche e all’immondizia, credo che i viottoli percorribili dalle auto siano due.
Iniziamo a percorrere uno di questi, quello che ad occhio sembra il principale, intorno a noi incominciano a accalcarsi ragazzini dagli abiti lisi e le scarpe rotte, alcuni di loro hanno nelle maniche del maglione un barattolo di colla che tengono sempre attaccato al naso, si attaccano al Matatu, ma non mollano mai il loro barattolo. Ci sorridono e noi sorridiamo loro, non sembrano mal intenzionati, ma l’autista ci consiglia comunque di chiudere i finestrini.
Ai margini della strada, sfilano una serie di piccole baracche di legno, i loro negozi, c’è chi vende scarpe, chi vende frutta e verdura, c’è il barbiere, il parrucchiere per donna e c’è chi vende ciò che ha raccolto nella discarica.
La gente ci guarda, e ride di noi, il naso rosso è un mezzo di comunicazione incredibile e come se tu trasmettessi il messaggio “guardami, mi prendo in giro con questo artificio sulla faccia, guarda i miei vestiti sono come i tuoi, io non sto su un piedistallo, io sono come te” e funziona, funziona sempre.
Arriviamo all’interno di una struttura che simile ad un oratorio, i ragazzini ci hanno seguito fino a qui, sono felici e pieni di entusiasmo, l’emozione tra di noi e palpabile, l’adrenalina sale, ci siamo, siamo dentro a Korogocho, ancora non ci possiamo credere.
Finalmente possiamo scendere dal Matatu, mi guardo intorno e alla nostra destra c’è la discarica e si sente, l’odore che ci avvolge e fortissimo, faccio fatica a respirare, mi chiedo come sia possibile che la gente viva qui.
Charles, ci dice ancora una volta di stare attenti, di camminare sempre vicini e di non allontanarci dal gruppo, usciamo per raggiungere la sede dei padri comboniani, i bambini fanno a gara per prenderci la mano, ci guardano, ci accarezzano, facciamo lo slalom tra le buche e gli scoli della fogna, ovunque c’è polvere, ci guardiamo intorno e bimbi scalzi sbucano da ogni anfratto delle baracche, con noi c’è Samuel, uno dei ragazzini di strada, ci prende sottobraccio, da una parte ci siamo noi e dall’altra il suo barattolo di colla.
Arriviamo nella sede dei padri comboniani, è un posto gradevole, tutti i muri sono disegnati con colori vivaci, gli unici colori che ricordo di Korogocho, il resto è polvere e sporcizia. Non siamo gli unici a voler parlare con padre Daniele, colui che ha preso il posto di Alex Zanotelli a Korogocho e quindi aspettiamo pazientementeil nostro turno, nel frattempo Samuel che entrato con noi, ci fa capire qual è la realtà qui, qual è la sua realtà, è avvolto dall’odore di colla, che ad ogni suo abbraccio ti stordisce, avete mai provato ad annusare da vicino il “Bostik”? Gli spieghiamo che arriviamo dall’Italia e lui ci chiede il costo del biglietto aereo “Quant’è, 80 dollari? Si Samuel 80 dollari! Come possiamo dire ad una persona che nel portafoglio ha 20 centesimi, che il biglietto noi l’abbiamo pagato 1000 volte tanto?Arriva il nostro turno e padre Daniele ci fa entrare, spieghiamo chi siamo e cosa facciamo, chiediamo se possiamo far vedere ai bambini il nostro spettacolo. Permesso accordato, una telefonata e lo spazio c’è, ci guardiamo, non ci possiamo credere, il sogno è diventato realtà, non solo siamo a Korogocho, ma siamo a Korogocho con il nostro piccolo spettacolo.
Il Boma Rescue è il posto designato, Padre Daniele ci indica la strada, è dall’altra parte della baraccopoli, siamo felici è l’occasione per fare una piccola parata e raccoglie più bambini possibile, ripercorriamo la strada fatta al contrario fino al nostro Matatu, dove prendiamo tutto ciò che ci servirà per la nostra performance, in verità non abbiamo molto, ci avevano consigliato di lasciare tutto in ostello ed in verità neanche nella migliore delle ipotesi avremmo pensato di poter portare il nostro spettacolo proprio li.
Attraversiamo i lunghi viottoli di fango e fogna, i bambini si accalcano intorno a noi gridando e cantando“how are you” “how are you”, siamo travolti da questa energia.
Il Boma Rescue, come gli altri all’interno di Korogocho, serve a dare ai ragazzi di strada una nuova possibilità, i ragazzi in questi centri, imparano a leggere e a scrivere, praticano sport, hanno la possibilità di vedere film e soprattutto hanno un pasto caldo tutti i giorni.
Lo spettacolo risulta un po’ improvvisato, non abbiamo la musica e così cantiamo noi, non abbiamo il materiale e così cerchiamo di fare come possiamo, non importa, facendo teatro ho imparato che spesso l’energia di chi sta in scena, basta a riempire i buchi, la voglia di esserci rende tutto incredibilmente magico, e poi abbiamo avuto, come l’impressione che ai bambini, non importasse vedere dei bravi clown, a loro bastava sapere che quello spettacolo era per loro.
Torniamo stroditi dall’emozione verso il Matatu , ogni clown ha tre, quattro bambini per braccio, anche Samuel è sempre con noi, ha seguito tutto lo spettacolo e si è divertito, gli regaliamo uno dei nostro Kazoo, un buon metodo per fargli dimenticare il suo barattolo di colla, almeno per qualche minuto.
Salutiamo saliamo sul nostro Matatu, abbiamo addosso l’odore di polvere e di immondizia, abbiamo negli occhi, il viso e i piedi scalzi dei bimbi, l’emozione ora sfocia in un grido e un abbraccio liberatorio, ci abbiamo creduto e ci siamo stati, ma soprattutto abbiamo esaudito il desiderio più grande di uno dei nostri compagni, portare il sorriso, almeno per qualche minuto, “agli ultimi degli ultimi” e non una volta sola, dopo qualche giorno a Korogocho noi ci siamo tornati e questa volta con la musica, con gli oggetti e con tutta la nostra voglia di fare.
Perché in questi momenti capisci quanto è importante il gruppo, perché in questi momenti capisci che sei circondato da persone splendide, perché in questi momenti capisci quanto vuoi bene a tutti i tuoi compagni di viaggio…grazie Alice, grazie Ale, grazie Dany, grazie Dario,grazie Elena, grazie Ettore, grazie Fede, grazie Lety, grazie Marco, grazie Mary, grazie Monica, grazie Rudy e soprattutto grazie Angelo, perché se Korogocho l’abbiamo amata, desiderata e vissuta e soprattutto merito tuo.

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